Gavell Niccolò (1701-1777)
Nel 1758 Niccolò Gavelli (1701-1777) tipografo editore, di ampia risonanza, a Pesaro, oltre a portare avanti tre giornali periodici, rispettivamente il Mercurio Storico e Politico, le Memorie per la Storia delle Scienze e Belle Arti e la Gazzetta di Pesaro, curava e pubblicava le edizioni di molte opere di argomento scientifico, letterario ed artistico di autori pesaresi e di altre parti d'Italia e dell'estero. Il Gavelli fu anche autore e, ovviamente, stampatore di recensioni critiche, di prefazioni e presentazioni di opere, di componimenti poetici e di scritti occasionali per nozze, monacazioni, dottorati, nascite, decessi, ecc. Secondo la testimonianza di Domenico Bonomini, per il suo tempo, l'editore Gavelli era considerato un dotto, [...], “massime nella purezza della lingua italiana”; pur, tuttavia, un mediocre poeta italiano. Gavelli, fra le altre cose, scrisse un compendio dal titolo “Storia distinta e curiosa del tabacco” avente come sottotilo “concernente la sua scoperta, la introduzione in Europa, e la maniera di coltivarlo, conservarlo, e prepararlo, ec. Per servirsene, con altre ottime, ed utili osservazioni sopra il medesimo; in quella nuova impressione accresciuta di diversi esperimenti fatti circa la sua virtù”.
Dopo una ammiccante introduzione dal titolo “Al benigno lettore” il libro inizia con i vari nomi dati al tabacco che Gavelli etichetta come “pianta o erba medicinale, nota in Europa solamente dopo la scoperta dell’America…”
E allora “gli Americani, che abitano la terra ferma, la chiamano petum, ma que’ delle isole l’appellano Yoli.
Gli Spagnuoli, che le hanno dato il nome di Tabacco, lo hanno preso in prestito da quello di Tabacco, una delle provincie del regno di Yucatan, ove ne trovarono per la prima volta e ove ad imitazione degl’Indiani fecero eglino uso di quest’erba, presentemente sì comune.
I Francesi le diedero da principio vari nomi. Primieramente la chiamarono Nicotiana, od Erba dell’Ambasciatore, da Giovanni Nicot, ambasciatore di Francesco II in Portogallo; secondariamente l’Erba della Regina, a motivo di Caterina de’ Medici…poi l’Erba del Gran Priore, a cagione di un Gran Priore di Francia della casa di Lorena, che fù de’ primi a servirsene”.
In Italia i primi nomi furono: “ l’Erba di Santa Croce, e l’Erba di Tornabuoni, dal nome dei due Cardinali, l’ultimo dei quali era Nunzio in Francia, e il primo in Portogallo: ma alla fine ognun si è ridotto a non chiamarla con altro nome, che con quello di Tabacco, ad esmpio degli Spagnuoli”.
L’Autore prosegue con una dotta descrizione dei tipi di piante di Tabacco, della coltivazione, dell’essiccatura e della preparazione dei manufatti. Insomma una vera e propria manna storiografica soprattutto per botanici e agronomi.
“Nel finir della memoria” poi esorta a alla coltivazione del tabacco in quanto, sebbene “esiga molta fatica…vedrannoesser essa infinitamente meno faticosa di quel, che apparisca anzi scorgerà ch’essa è assai facile…” . Basta fare come in Virginia e nel Mary-Land “che in terre passabilmente buone, un Negro capace fa facilmente duemila libbre di Tabacco all’anno”.
Poi si sofferma su come si usa coltivarlo e ridurlo in polvere in Italia nei “luoghi immuni di questo Stato Ecclesiastico”.
Si semina in febbraio-marzo “sotto luna calante, che ne verrà più gagliarda la pianta…Quando poi incominciasi a vedere il fiore, e che le piante sono alte circa due piedi, levasi ello fiore colla mano, rompendolo con facilità, acciochè la pianta non vada tanto in vigore , e più grandi divengano le sue foglie”.
Della stessa pianta si effettuano tre raccolte: una in settembre, l’altra in ottobre-novembre e la terza entro il febbraio successivo “la quale certamente è assai inferiore, e con questa si fa Tabacco pe’ poveri, e pe’ villani…”.
La riduzione in polvere poi si esegue con grandi, piccole moli o col mortaio che si vende in libbra riportando i vari prezzari su varie borse soprattutto olandesi.
Seguono infine le “Osservazioni fisico-mediche intorno alla pianta del Tabacco, fatte da gravi autori medici”. Gavelli riferisce che inizialmente di questa pianta “non si facea gran conto delle sue proprietà medicinali, ma presentemente è famosa per le sue qualità”. A questo punto si rifà alle alle notizie talora aneddotiche dei dotti contemporanei e di alcuni autori che già nel ‘500 e 600 avevano decantato le proprietà medicinali del tabacco riportando “quanto di più utile e di più curioso lasciando i lettori in libertà di poter vedere più diffusamente le circostanza terapeutiche di questa pianta”. Gavelli nel trattare le virtù terapeutiche del tabacco spesso fa riferimento a personaggi medici e cerusici del suo tempo (Boehrave, Gaspare Offman, Antonio Reccho, Fernandez, Giovanni Shedman, Giovanni Tarenzio) che verosimilmente godevano di un certo credito “scientifico” come luminari nella maateria ma che non hanno lasciato tracce indelebili nel palmares delle scienze mediche.
Olii e unguenti vengono estratti dalle foglie verdi di tabacco che “credonsi benefiche nelle piaghe, ulceri, infiammazioni, tumori, emorroidi e scrofole”. Ma avverte sulla pericolosità dell’olio distillato dal tabacco in quanto “è velenoso in guisa, che postone una goccia sulla lingua di un gatto produce in esso violente convulsioni e la morte nello spazio di un minuto”. Nondimeno funziona bene nel dolore da carie dentale in quanto “adoperato in faldella o con un pezzo di pannolino intinto nel sugo del Tabacco, ed applicato a’ denti forati, e guasti, ne calma il dolore e ne impedirà l’ulteriore corruzione”. A volte anche i chirurghi se ne servono come anestetico “per intormentire le membra che hanno da tagliare”.
Il tabacco in foglie verdi “ben peste sana la gotta”. Applicate calde “sono un efficace rimedio nelle cefalargie, e nell’emicranie, che provengono da cauda fredda, nelle flatulenze, nelle rigidezze del collo, o in quelle spzie di convulsione, in cui la rigidezza del collo è sintomo
Le foglie secche invece, sono un “valido emetico ma la loro azione è così violenta, che nell’usarne bisogna stare oculatissimo”. Masticate o fumate, favorisce la produzione di catarro e quindi viene utilizzato quando il paziente ha necessità di liberarsi da ingorgo catarrale. Addirittura Gavelli ci dice che “è talora benefico agli asmatici” ma ad una condizione se si vuol avere un effetto sicuro di questo rimedio: “bisognerà fargli precedere delle necessarie evacuazioni, supposto però che lo stato dell’infermo lo permetta”. Meno male.
Riportando Antonio Reccho poi, ci fa sapere dei “salutevoli effetti” di una boccata di fumo nel soffocamento e che “è benefico nelle sincopi”.
Masticato “fa divenir magro e leva la sonnolenza ed è un pssente preservativo contro la peste”.
Anche il decotto (decozione) che a detta di dotti medici si fa con due foglie con aggiunta di “acetosa puntura, ed allume, facendola altri anche coll’orina” risulta un infallibile rimedio per “la rogna, le volatiche, la rabbia de’ cani ed altri mali cutanei”.
La decozione con sola acqua è linimento “giovevole per le malattie del petto, nelle tossi invecchiate, nelle asme e negli altri mali che nascono da causa fredda”. Lo sciroppo fatto con zucchero e decozione di foglie di tabacco “provoca espettorazione degli umori putridi, ferma le dissenterie, …caccia dagl’intestini i vermi piatti e i vermi rotondi ” ma non a tutte le temperature. Decozioni molto concentrate e usate mediante clistero possono essere pericolose “non senza pericolo d’infermità, stupidità e violenti vomiti”.
Il tabacco in polvere “tirato su pel naso come uno sternutatojo estrae l’umido e le flemme del capo”. Alcuni lo assumono “ in picciole pallottole piuttosto lunghette, che si cacciano su pel naso, e che producono assai buoni effetti, attraendo buona parte di acqua, o pituita, scaricando il capo, risolvendo i cattari, e rendendo libero il respiro poiché le parti sottili del Tabacco, portate in ispirando nella Trachea, e ne’ pulmoni, vi sciolgono gli umori peccanti, che vi stanno attaccati e promovono la spettorazione”.
Questa formulazione “diminuisce grandemente l’appetito e col tempo dà origine alla stitichezza. Ammazza le pulci, i pidocchi, e altrettal sorta di vermi “ dai quali, specifica l’autore, non sono attaccati i grandi coltivatori di tabacco.
Al termine del suo trattato Gavelli riferisce di alcune esperienze fatte da Nicot in persona sulle virtù del tabacco, e tramandate, ragion per cui al Tabacco gli valse la denominazione di Erba dell’Ambasciatore: “sappia il Lettore che Giovanni Nicot era un Omo di gran fede, e lòasciò scritte le virtù da Lui esperimentate di questa salutifera Erba, e queste sono le sue precise parolle tradotte dal francese: guarisce li cancri, tutte le piaghe, le ulcere vecchie, ed incancrenite, ferite, foco selvatico, risipole, brozze aperte ancorche Magligne pestando foglie di quest’Erba in mortaio, applicando quella materia e succo sopra il Male, astenendosi da cibi salati, agri, spezierie e vini potenti o poco temperati”.
Il Gavelli infine conclude l’esposizione con un invito al buon senso e alla filosofia dell’ est modus in rebus: “nell’adoperarsi però il Tabacco convergono tutti i più bravi Fisici, che tanto applicato per medicamento, quanto preso per semplice uso, bisogna attendersi alla sperienza ed alla moderazione; poiché sopra l’uso o l’abuso del Tabacco non si possono stabilire regole generali”.
In coda al Trattato viene riportato l’Editto dello Stato Pontificio, regnante Benedetto XIV, “sopra l’abolizione dell’Appalto del Tabacco”: “comandiamo che dal primo di gennaio prossimo futuro1758 in poi abbia ciadscuno la libertà di seminare o nello Stato Ecclesiastico ogni sorta di Tabacco, e coltivarne la piantagione senza che possa esserne da chiunque impedito…”. Per questo libero commercio viene stabilito il pagamento di “un’annua moderata somma di scudi 85 mila ripartiti per la quarta parte alla Città di Roma e per le altre tre parti alle cinque Provincie dello Stato Ecclesiastico…”. Rimane invece il divieto di importare tabacchi forestieri tanto in foglia che in lavorati. [Niccolò Gavelli. Storia distinta e curiosa del tabacco. Ferrara, Il Giglio a spese di F. Altieri, 1758]
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