Tabacco (storia)
Il tabacco è probabilmente, fra tutte le piante, quella che dalla sua scoperta e introduzione in occidente ha stimolato più studi e ricerche. Storici, antropologi, botanici, biologi molecolari e genetici, economisti, medici e sociologi hanno scritto molti trattati sull’argomento tabacco. Arrivando dal Nuovo Mondo, il tabacco ha suscitato nel Vecchio una curiosità che ha rasentato l’ossessione nel corso dei secoli XVI e XVII. Quello che allora era un rimedio universale è oggi diventata la prima causa di morte evitabile per i fumatori e una formidabile fonte di guadagno per le industrie del tabacco spingendosi fino al negazionismo del danno [1-3]. Il tabacco o pianta del tabacco appartiene alla famiglia delle solanacee. Il suo nome scientifico è Nicotiana ed ed inizialmente è stata chiamata con vari nomi a seconda delle latitudine di chi ne veniva a conoscenza. Era chiamata Cohiba dagli aborigeni indiani. Tabacco è termine che si prese ad utilizzare sin dal XVI secolo per indicare questa pianta di origine sudamericana e caraibica. Quello che sembra chiaro è che l'origine della parola tabacco derivi dalla lingua Arawak e in particolare dal dialetto caraibico Taino che, secondo Bartolomeo de Las Casas (1552) si riferiva con questo termine ad un rotolo di foglie della pianta oppure al tabago, una forma di consumo che gli indiani utilizzavano per la combustione delle foglie secche, che aveva forma di Y, con una estremità biforcuta che veniva inserita nelle narici chiamato tubaco. Questa pianta in Europa fu chiamata con diversi nomi: tabacco, péto, nicotiana, erba dell’Ambasciatore, erba della Regina, erba Medicea, panacea antartica, erba santa, erba sacra, erba per tutti i mali, jusquiamo del Perù. La diffusione del TABACCO in Italia (per fumo, fiuto ed uso medicamentose) procedette trionfalmente dall'Olanda verso i primi del '600 (1615): nella penisola il porto di arrivo del TABACCO era lo SCALO GRANDUCALE DI LIVORNO (alla stessa maniera di quanto accadeva per il CAFFE'). In Italia, la coltura del tabacco si diffuse nella seconda metà del XVI secolo grazie all’azione di due prelati: il Cardinale Prospero Pubblicola di Santa Croce, Nunzio Apostolico in Portogallo, che portò i semi a Papa Pio IV il quale li fece coltivare ai monaci cistercensi vicino a Roma e il Vescovo Nicolò Tornabuoni, nunzio pontificio a Parigi dal 1560 al 1565 di Papa Gregorio XIII e ambasciatore di Toscana alla Corte di Francia, che portò i semi di Nicotiana Rustica a suo zio Alfonso Tornabuoni, Vescovo di Sansepolcro. Iniziò così la coltivazione del Tabacco in Toscana, e precisamente nei poderi di Chitignano, appartenenti al Granduca Cosimo I, per cui in Italia il tabacco fu denominato "Erba Tornabona" o “Erba di Santa Croce”. Cardinale Prospero di Santacroce Da lì passò alle Marche attraverso i monaci cistercensi di Chiaravalle e alla Valle del Brenta in Veneto grazie ai monaci benedettini. In Italia meridionale, il tabacco si diffuse solo nel XVIII secolo nel Beneventano sempre grazie ad ordini religiosi locali, e si estese fino alla Puglia in seguito alla costruzione di una grande manifattura di tabacco da fiuto di lusso a Lecce. Nel XIX secolo la coltivazione del tabacco si espanse in molte regioni. I primi europei che videro il tabacco furono due membri della prima spedizione di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo. Il 28 ottobre 1492 Colombo arrivò a Cuba e, credendo di essere arrivato in Cina, mandò Luis de Torres e Rodrigo de Xerez a cercare il Gran Khan. Essi ritornarono ovviamente senza aver trovato il sovrano, ma raccontando, fra le altre cose, di aver visto uomini fumare foglie secche in strumenti che vennero definiti pipe.
Bibliografia 1. La Lettre du Collège de France, hors série no 3 : Le tabac, Collège de France, Paris, février 2010, p. 4. ISSN 1628-2329 ; 2. Marc Kirsch et Patricia Llegou, « Éditorial », La lettre du Collège de France [En ligne] , Hors-série 3 | 2010 , mis en ligne le 24 juin 2010, consulté le 15 mars 2011. 3. URL : http://lettre-cdf.revues.org/276
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LA STUPEFACENTE STORIA DEL TABACCO (Ovvero due o tre cose che il fumatore, e non fumatore, deve sapere)
Da quando il tabacco, con la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, approdò in Europa, le popolazioni del Vecchio Continente hanno dovuto cominciare a fare i conti con l’uso di questa nuova pianta che ha via via segnato i loro costumi, influenzato i loro stili di vita minandone progressivamente la salute. Là dove fallivano le epidemie infettive, non falliva il fumo di tabacco man mano che la sua diffusione diventava sempre capillare e ben vista dai governi nazionali per gli ovvii introiti di imposta. In realtà, dopo lo sdoganamento del tabacco presso le corti europee ad opera di Caterina de’ Medici e l’apologia di presunti effetti benefici da parte di luminari del XVI sec. (Monardes di Siviglia, Johan Neander bremanum, Massimiano Zavona di Ravenna), il fumo di tabacco ebbe anche acerrimi avversari nel re Giacomo I (1566-1625) d’Inghilterra, nello scià di Persia Abbas, nell’ottomano Amurat IV e in papa Urbano VIII nel 1630 con la scomunica per i fumatori. Ma la via del fumo era già tracciata verso un’irresistibile ascesa, forte del potere socializzante che la pratica assumeva e del devastante potere di dipendenza che esso aveva. La sigaretta fabbricata manualmente sembra abbia visto la luce in Spagna. Lo attesta il fatto, storicamente certo, che nel 1600 le librerie vendevano «libretti di carta per sigarette» fabbricati a Valencia; mentre nelle sue «Memorie» Giacomo Casanova, descrivendo un soggiorno iberico del 1767, accenna a un uomo che fumava una specie di sigaretto avvolto in un foglietto di carta. A conferma, infine, della primogenitura spagnola della sigaretta attuale stanno il termine «spagnoletta», inizialmente prevalente e per lungo tempo intercambiabile con quello di «sigaretta», e la splendida documentazione iconografica che ne dà Francisco Goya nel suo «Aquilone», dipinto nel 1776 e tradotto in arazzo nel 1778. Nel 1779 il tedesco Peter Wendler ottenne persino dal Papa una speciale licenza di cinque anni per aprire a Roma una fabbrica di tabacchi. Sono le prime avvisaglie di una globalizzazione che nel XX secolo avrà i caratteri di una vera e propria epidemia da tabacco. Dopo la Spagna, la sigaretta “sfonda” negli altri Paesi europei con il rientro dei reduci dalla guerra di Crimea (1854-1856), dove i soldati hanno imparato ad arrotolarla dai turchi. Al tabacco era ormai aperta la via per la conquista del mondo. Basti pensare che continuò ad essere lodato come erba medicinale fino alle soglie del XX Secolo: “…un Erba Vulneraria; egli (il Tabacco) serba questa virtù anche quando è seccato. Così mettendo subito del Tabacco in polvere in una ferita finché è fresca, e curandola bene, si chiude in poco tempo. Chi è dunque che avrebbe pensato che gli uomini troverebbero un giorno piacere al fumo d’un erba vulneraria?”(Kruger G.G. - Trattato del Caffè e del Tabacco, Tipografia Catauco, Napoli, 1842). Di lì a poco veniva glorificato nella pittura, celebrato nella letteratura e nei canti popolari. In Inghilterra la prima manifattura di sigarette, fatte a mano con tabacchi orientali e russi, fu aperta nel 1860; più tardi apparvero le prime sigarette fatte con Burley dolce e Virginia Bright. Nel 1868 le ferro-vie inglesi istituirono le prime carrozze per fuma-tori. Le prime macchine per il confezionamento delle sigarette, a riempimento di tubetti di carta, apparvero verso il 1870; in Francia la vendita delle sigarette saliva vertiginosamente, passando da settecentomila pezzi nel 1855 a undici milioni nel 1870 (erano comunque solo il 2% circa delle vendite del monopolio, i francesi preferivano ancora il tabacco da fiuto e i sigari). Nel 1879 a Parigi la manifattura di carta per sigarette Braunstein iniziò a produrre tipi di carte che ebbero subito grande diffusione e furono esportate in molti paesi. Nell’Impero Asburgico il monopolio del tabacco vendeva nel 1865 le prime sigarette, chiamate “doppie”, formate con un bocchino a ciascuna delle estremità e tre volte più lunghe delle attuali, da tagliare in due prima dell’uso. In Russia, verso il 1850 la ditta “La Ferme” di Joseph Huppmann vendeva a S. Pietroburgo una sigaretta costituita da una miscela di tabacchi orien-tali, di Burley e Maryland americani. Ma ad una sua ampia diffusione faceva ostacolo la difficoltà di produzione (tutte le sigarette sono confezionate a mano) e, quindi, il loro costo assai elevato: una buona operaia confeziona in otto ore di lavoro non più di 1.000-1.200 pezzi. In Italia la sigaretta appare nelle statistiche solo nel 1875, con un dato di 340 kg pari all’1,9% di tutti i tabacchi consumati in quell’anno (oggi la percentuale è del 98,6%). Nello stesso anno, una ditta statunitense del settore, la Allen & Cinter, mette in palio un premio di 75.000 dollari per una macchina capace di soppiantare il confezionamento a mano (qualche macchina c’era già, ma imitava il modo di lavorare umano). La rivoluzione arriva cinque anni dopo, quando il 4 settembre 1880 l’idea di James A. Bonsack di una macchina per arrotolare la sigaretta diventa realtà con la presentazione del brevetto con una capacità produttiva di 120.000 sigarette in dieci ore, soppiantando il confezionamento manuale delle sigarettaie. La stessa produzione prima era garantita manualmente dal lavoro di 40 sigarettaie per 12 ore e ½. Ovviamente il dato fa sorridere se confrontato all’attuale produzione di sigarette che si aggira tra le 8.000 e le 14.000 al minuto. Uno storico nel 1884, riferendosi alla macchina di Bonsack, affermava: "Non ci sono molte macchine al mondo che siano più complicate o che lavorano in modo più mirabile", ma al contempo pensava che avrebbe causato stenti nella società, privando molte persone del lavoro (ciononostante la manifattura di James B. Duke di New York nel 1886 utilizzava quindici macchine di Bonsack, ed impiegava 750 lavoratori). In Italia, l’introduzione nel 1892 delle prime macchine confezionatrici fece diminuire i prezzi di vendita e favorì il consumo delle sigarette. Per aumentare la vendita delle sigarette fu fatto largo uso di campagne pubblicitarie, e nei pacchetti si introdussero le cartine (cigarette-cards) di personaggi famosi (attori e attrici, cantanti, ballerini) e a soggetti vari: le collezioni potevano essere raccolte in un album che si otteneva in cambio di un certo numero di pacchetti. La produzione delle sigarette negli USA, anche in conseguenza dei miglioramenti apportati dalle nuove macchine, aumentò rapidamente passando dai 2,4 miliardi di pezzi del 1889 ai 122,4 miliardi del 1929, con un incremento di oltre il 5.000%, mentre i lavoratori impiegati nell’industria del tabacco salivano nello stesso periodo da 12.042 a 21.600. Le sigarette diventavano il prodotto più importante tra i tabacchi lavorati, nonostante che in molti Stati si emanassero le prime leggi contro la vendita delle sigarette, o "coffin tacks" (chiodi per bare) come spesso erano chiamate. Nel 1890 ventisei Stati vietarono la vendita ai minori, nel 1893 lo Stato di Washington proibì la produzione e l’uso delle sigarette. Diversi scrittori popolari erano ritenuti responsabili del grande aumento del consumo delle sigarette, nelle campagne di propaganda si diceva che era realmente provato che le sigarette erano nocive ai baffi, e si insinuava che due marche erano fatte di "mozziconi" e "vecchia corda" coperte con carta velenosa; ma l’analisi effettuata da chimici del Dipartimento di Agricoltura del North Carolina su tredici marche di sigarette popolari esclusero la presenza di sostanze estranee. L’affermazione delle nuove sigarette Domestic Blend lanciata negli USA ebbe grande impulso dagli effetti della Prima Guerra mondiale. Infatti, l’occupazione da parte della Bulgaria del porto di Kavalla, in Macedonia, il più importante centro di manipolazione e commercio dei tabacchi orientali, rese molto difficile il reperimento di questi tabacchi. La riduzione della percentuale di tabacchi orientali impiegati in questo tipo di sigarette fu un vantaggio, e le resero più competitive rispetto alle altre marche. Con la diminuzione dei costi, il nuovo prodotto poteva essere posto in vendita ad un prezzo più basso, 10 cents per le confezioni da 20, invece dei 15 cents delle altre sigarette. Le promozioni per il lancio della nuova marca furono ingegnose e curiose (simili alle odierne campagne di marketing), e contribuirono alla sua affermazione. Le cifre spese in un anno per la pubblicità raggiunsero 1,5 milioni di dollari (cifra enorme per quel tempo), corrispondenti a circa 6 cents per ogni pacchetto di 20 venduto a 10 cents, ma le vendite delle nuove sigarette furono straordinarie: mezzo miliardo di pezzi nel 1914, 2,4 miliardi nel 1915, 10 miliardi nel 1916, raggiungendo in pochi anni circa il 40-45% del mercato totale. L’industria delle sigarette ebbe ulteriore impulso dall’entrata delle donne come fumatrici. Le prime donne fumatrici negli Stati Uniti erano apparse agli inizi del 1900 a Richmond, utilizzando le sale d’attesa per signore delle stazioni ferroviarie, ma dal 1917 le donne iniziarono a fumare apertamente. In una campagna di lancio furono utilizzate anche le donne come testimonial; tuttavia una cantante d’opera che prestò la sua immagine per la pubblicità ebbe come conseguenza la cancellazione di ingaggi, e passò a fare pubblicità contro il tabacco. I profitti ottenuti dalle industrie furono spesso utilizzati in aiuti per gli orfani, istituzioni scolastiche, ospedali, chiese, e in celebrazioni di eventi. Le sigarette American Blend iniziarono a diventare popolari in Europa con la Seconda Guerra mondiale (1939-1945), quando furono diffuse dalle forze armate americane, e presero il sopravvento nei confronti delle locali sigarette europee dal gusto più aspro. Dopo la fine del conflitto, le sigarette American Blend restarono con le truppe d’occupazione della NATO, ed il loro consumo aumentò in molti paesi. Negli anni ’50 fu sviluppato il processo di utilizzazione del tabacco ricostituito, e negli anni ’60 fu introdotto il procedimento di espansione del tabacco nelle miscele americane, con lo scopo di produrre tabacco meno denso; il tabacco espanso fu poi esteso alle sigarette con basso contenuto di condensato.
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